ACQUA BENEDETTA, DOCUMENTARIO DI ANTONIO PETRIANNI

Acqua Benedetta è un documentario che ti porta in un viaggio profondo tra il corpo umano e il territorio, esplorando il rapporto complesso e spesso contraddittorio tra acqua, natura e vita.

Diretto da Antonio Petrianni e prodotto da un team di professionisti, il film si basa su anni di ricerche sul territorio pontino, ampliandosi poi ad altri luoghi, tutti uniti dal filo rosso dellacqua e del suo ruolo nel nostro corpo e nellambiente.

Il film ci invita a riflettere su come lacqua possa essere sia fonte di vita che di minaccia. Attraverso le testimonianze di persone come Carlo Alberto Cecconi, Serena Scaramella e Oise Amidei, il documentario ci mostra come affrontare la malattia, come la dialisi, con coraggio e speranza, e ci fa pensare al nostro rapporto con la natura e il territorio che ci circonda. La narrazione alterna momenti di grande umanità a immagini di paesaggi mozzafiato dellAgro Pontino, che diventa un vero e proprio protagonista del racconto.

Colpisce molto come il film riesca a unire le storie personali di chi combatte contro la malattia con il lavoro di cura e tutela del territorio, come la bonifica e la pulizia delle acque. È un messaggio potente: siamo parte di un tutto, e la cura del nostro ambiente è strettamente legata alla cura del nostro corpo.

Se si ha pazienza e ci si lascia trasportare dal ritmo delle immagini e delle parole, Acqua Benedetta  regala uno sguardo intenso e suggestivo sulla vita, sulla resilienza e sulla necessità di prendersi cura di ciò che ci sostiene.

È un film che non dà risposte facili, ma ti invita a riflettere e a vedere il mondo con occhi nuovi, più consapevoli.

Acqua Benedetta: recensione del documentario di Antonio Petrianni a cura di Gianmaria Cataldo

 

Acqua che scorre, acqua che straborda e va arginata, acqua croce e delizia. In poche parole, Acqua Benedetta, titolo del documentario diretto da Antonio Petrianni, prodotto da Luca Lardieri, Francesco Madeo, Mattia Nicoletti e scritto da Christian Mastrillo. Un’opera che è il frutto di anni e anni di ricerche sul territorio pontino poi espanse anche in territori più lontani ma qui legati insieme da quel filo rosso che è il tema dell’acqua e del corpo, del loro rapporto e dei lati oscuri a cui possono dar vita.

 

La trama di Acqua Benedetta

«Non tutti i luoghi sono abitabili, non tutti i corpi sono vivibili. Non esiste il bene, non esiste il male… esiste solo la natura. Questo luogo è una macchina perfetta. Luomo non lo può abitare. Per il suo corpo, inadeguato, quellacqua è veleno». L’acqua preme sotto la pelle e ristagna sulla terra, si insinua nei tessuti, satura l’aria. Tra annegamento e siccità, tra reni e terreni, vene e canali, tra meccanica idraulica e medicina. Uomo e Natura restano in bilico. Ma su cosa poggia il nostro equilibrio?

Sulla base di questa premessa, Acqua Benedetta racconta tre vite segnate dalla dialisi, offrendo uno sguardo profondo sul corpo come luogo di resistenza e sull’acqua come elemento vitale e insieme minaccioso (tema che accomuna il film, con le ovvio differenze nel punto di vista, al documentario Aquarela, presentato nel 2018 al Festival di Venezia). Attraverso le testimonianze di Carlo Alberto Cecconi, Serena Scaramella e Oise Amidei, il documentario invita dunque a riflettere sul nostro rapporto con l’ambiente e con ciò che ci tiene in vita.

Affrontare la malattia a testa alta

È un parallelismo ardito quello proposto con Acqua Benedetta, che lega il corpo umano al “corpo” della terra. L’Agro Pontino non è infatti semplice sfondo, ma vero e proprio protagonista del racconto. Un paesaggio simbolo di memoria e identità, che respira con i quanti lo abitano e che con i protagonisti umani del documentario ha in comune la necessità di essere monitorato salvaguardato. A partire da questo concetto viene dunque mostrato il lavoro richiesto da entrambe le situazioni.

Un lavoro lungo, nascosto e che richiede pazienza, svolto di notte o di mattina presto, lontano da occhi indiscreti e i loro possibili giudizi. Giudizi che il documentario cerca di anticipare portando ad esplorare queste dinamiche, facendo assistere alle giornate tipo dei protagonisti individuati, che tra un sorriso e un silenzio colmo di speranza per il futuro ambiscono a dare il massimo valore ad ogni giornata. Ed è proprio negli scorci del loro quotidiano, indubbiamente doloroso e difficile, che gli autori di Acqua Benedetta riescono a far emergere momenti di grande umanità.

Come quelli di Carlo Alberto Cecconi, che affronta la vita con umorismo senza nascondere la sua rabbia per il modo con cui questa lo ripaga, o ancora Serena Scaramella, il cui amore per il figlio è ciò che la spinge ad andare avanti giorno dopo giorno. O Oise Amidei, che vive nel ricordo del figlio Fabio. Emozioni e stati d’animo comuni, certo, ma che nei protagonisti di Acqua Benedetta acquisiscono un valore in più, proprio in virtù di quella malattia che costringe a fermarsi e rivalutare ogni cosa.

Curare il corpo e il territorio

Alle loro vicende si intreccia dunque il racconto della bonifica, della conservazione dei canali dell’Agro Pontino, della pulizia delle acque e, di conseguenza, dell’inquinamento di esse. A questa parte del racconto vengono dedicate inquadrature di grande fascino, che mostrano il paesaggio naturale in tutta la sua gloria e forniscono al film quel respiro che puntualmente è necessario riprendersi prima di rituffarsi negli abissi del mondo della dialisi. Una costruzione che mira però a sottolineare il nostro far parte di un tutto, di cui è dunque indispensabile avere cura.

Acqua Benedetta non è un film facile, non offre più di tante indicazioni ai suoi spettatori, con il rischio di perdersi tra i vari protagonisti, i loro luoghi e il susseguirsi delle loro vicende. Però, se si ha pazienza e ci si abbandona al flusso delle immagini e delle parole, alla fine il racconto si svela e spinge anche a ripensare a quanto visto a partire da nuove consapevolezze. Il risultato è dunque un racconto suggestivo, che affascina visivamente e trova anche il suo posto nel cuore.

Acqua Benedetta non offre più di tante indicazioni ai suoi spettatori, con il rischio di perdersi tra i vari protagonisti, i loro luoghi e il susseguirsi delle loro vicende. Però, se si ha pazienza e ci si abbandona al flusso delle immagini e delle parole, alla fine il racconto si svela e attraverso l’ardito parallelismo proposto ci parla dell’importanza della cura del territorio come di quella del corpo.

5 Maggio 2025

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